La Questione delle Abitazioni

Prefazione della seconda edizione riveduta (1887)

 

Lo scritto che segue è la ristampa di tre articoli da me scritti nel 1872 sul Volksstaat di Lipsia [1]. Proprio allora si riversava sulla Germania la pioggia di miliardi francesi [2]; furono pagati i debiti dello Stato, costruite fortezze e caserme, furono rinnovate le forze degli armamenti e gli effettivi militari; il capitale disponibile, non meno del volume monetario in circolazione, fu aumentato improvvisamente in misura enorme; tutto questo, proprio in un tempo in cui la Germania appariva sulla scena del mondo non solo come "impero unitario", bensì come grande paese industriale. I miliardi diedero alla giovane grande industria uno slancio possente; furono essi soprattutto a produrre un breve e illusorio periodo di prosperità conseguente alla guerra, e subito dopo, nel 1873-74, il grande Crollo, attraverso i quali la Germania si affermò come paese industriale a livello di mercato internazionale.

Il tempo in cui un vecchio paese agricolo compie un simile passaggio, per di più accelerato da simili favorevoli circostanze, dalla piccola industria e dall'attività manifatturiera, alla grande industria, è anche, e prevalentemente, il tempo della "penuria" di abitazioni. Da una parte le masse di lavoratori rurali sono attratte improvvisamente nelle grandi città che si sviluppano in centri industriali; dall'altra la situazione edilizia di queste vecchie città non corrisponde più alle condizioni della nuova grande industria né a quelle conseguenti del traffico; si ampliano strade e se ne aprono di nuove, si portano a compimento ferrovie che passano in mezzo alle città. Nello stesso momento in cui affluiscono masse di lavoratori, si ha una demolizione in massa delle abitazioni per loro. Di qui l'improvvisa penuria di case per i lavoratori e dei locali per il piccolo commercio e la piccola industria, che contano su una clientela operaia. In città sorte a tutta prima come centri industriali questa miseria è pressoché ignota. Così a Manchester, Leeds, Bradford, Barmen-Elberfeld. Per contro a Londra, Parigi, Berlino, Vienna si presenta una forma acuta e perdura, facendosi per lo più cronica.

Fu appunto questo acuto bisogno di abitazioni, questo sintomo della rivoluzione industriale che si andava compiendo in Germania, che riempì la stampa di allora di articoli sulla "questione della casa" e offrì il destro a ciarlatanerie sociali d'ogni sorta. Una serie di articoli simili apparve anche nel Voksstaat. L'autore anonimo, che poi si diede a conoscere per il signor A. Mülberger, dottore in medicina del Württemberg, ritenne d'aver trovato l'occasione propizia per rendere plausibili in tale questione ai lavoratori tedeschi i ritrovati miracolosi dell'universale medicina sociale di Proudhon. Allorché feci conoscere alla redazione la mia meraviglia per il suo avere accolto questi curiosi articoli, fui invitato ad entrare in polemica (cfr. il primo articolo: "in che modo il problema della casa viene risolto da Proudhon"). A questa serie di articoli ne feci seguire subito dopo una seconda, nella quale, sulla base di uno scritto del dottor Emil Sax, si analizzava la concezione filantropico-borghese del problema (secondo capitolo: "in che modo il problema della casa viene risolto dalla borghesia"). Trascorso un intervallo molto breve, il dottor Mülberger mi onorò di una replica al mio articolo, costringendomi ad una controreplica (terzo capitolo: "appendice su Proudhon e il problema della casa"), con cui vennero a conclusione tanto la polemica quanto il mio specifico occuparmi di tale problema. Ecco dunque le genesi di queste tre serie di articoli, che apparvero altresì in estratto sotto forma di opuscolo. Se ora si è resa necessaria una nuova ristampa, lo devo indubbiamente, ancora una volta, alle benevole cure dell'imperial governo tedesco, che come sempre l'ha fatto andare a ruba colpendolo con la censura, e gli esprimo il mio devotissimo grazie.

Per questa nuova ristampa ho riveduto il testo, vi ho inserito alcune aggiunte e note, ed ho corretto un piccolo errore di natura economica sfuggitomi nel primo capitolo, che purtroppo il mio avversario dottor Mülberger non aveva rilevato.

Compiendo questa revisione mi son reso conto più che mai di quale gigantesco progresso il movimento internazionale dei lavoratori abbia compiuto negli ultimi quattordici anni. A quel tempo era ancora un fatto che "da vent'anni (...) i lavoratori di lingua neolatina non avessero per il loro intelletto quasi nessun altro nutrimento" che le opere di Proudhon e tutt'al più le ulteriori unilateralizzazioni che del proudhonismo dava il padre dell'"anarchismo", quel Bakunin, che Proudhon considerava "il maestro di noi tutti", notre maître à nous tous. In Francia i proudhoniani non erano che una piccola setta tra i lavoratori, eppure erano gli unici che avessero un programma distintamente formulato e che durante la Comune poterono assumere il comando in campo economico. In Belgio il proudhonismo dominava incontrastato tra i lavoratori valloni, e in Spagna e in Italia, fatte poche ed isolate eccezioni, tutto quel che nel movimento operaio non era anarchico era decisamente proudhoniano. Ed oggi? In Francia Proudhon è completamente liquidato tra i lavoratori e non ha più seguaci che tra i borghesi e piccolo-borghesi radicali, che, in quanto proudhoniani, si proclamano anche "socialisti", ma che sono combattuti nel modo più accanito dai lavoratori socialisti. In Belgio i fiamminghi hanno spodestato i valloni nella guida del movimento, buttando a mare il proudhonismo e dando un possente impulso al movimento medesimo. In Spagna, così come in Italia, la marea socialista del Settanta è passata, spazzando via i residui del proudhonismo; se in Italia il nuovo partito è ancora in fase di chiarificazione e formazione, in Spagna il piccolo nucleo della Nueva Federacion Madrileña [3], che si è mantenuto fedele al Consiglio generale dell'Internazionale, si è sviluppato in un forte partito, che, come si può vedere dalla stessa stampa repubblicana, annienta l'influenza dei repubblicani borghesi sugli operai assai più efficientemente di quanto non abbiano potuto fare i suoi chiassosi predecessori anarchici. Il posto delle dimenticate opere di Proudhon, presso gli operai neolatini l'hanno preso Il Capitale, il Manifesto del Partito Comunista e una serie di altri scritti della scuola marxiana, e il postulato capitale di Marx, presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società da parte del proletariato che assurge alla dittatura politica, è oggi l'obiettivo di tutta la classe operaia rivoluzionaria nei paesi di lingua romanza.

Se dunque il proudhonismo è respinto definitivamente dai lavoratori anche nei paesi neolatini, se, in coerenza alla sua vera destinazione, esso non serve più che ai radicali borghesi francesi, spagnoli, italiani e belgi, come espressione delle loro voglie borghesi e piccolo-borghesi, perché allora tornarvi su ancor oggi? Perché combattere di nuovo un nemico morto con la ristampa di questi articoli?

Anzitutto perché questi articoli non si limitano alla mera polemica contro Proudhon e i suoi sostenitori tedeschi. In conseguenza della ripartizione di lavoro che esisteva tra Marx e me, fu mio compito difendere le nostre opinioni nella stampa periodica, e quindi soprattutto nella polemica contro quelle degli avversari, affinché Marx potesse dedicarsi interamente all'elaborazione della sua grande opera capitale. Venni quindi a trovarmi nella condizione di esporre le nostre vedute per lo più in forma polemica, in antitesi ad altre vedute. E ciò anche in questo caso. I capitoli 1 e 3 contengono non solo una critica alla concezione proudhoniana del problema, ma altresì l'esposizione della nostra propria concezione.

In secondo luogo, però, nella storia del movimento operaio europeo, Proudhon ha avuto una parte così significativa che non lo si può lasciar cadere senz'altro nell'oblio. Liquidato teoricamente, praticamente messo da parte, egli conserva un interesse storico. Chiunque si occupi in una qualche misura esaustiva del socialismo moderno, deve conoscere anche i "punti di vista" superati del movimento. Miseria della filosofia di Marx apparve molti anni prima che Proudhon enunciasse le sue proposte pratiche per la riforma della società. A questo proposito Marx non poté far niente di più che criticare in germe la Banca di cambio proudhoniana. Per questo verso, quindi, il suo scritto viene integrato, da quello che ripropongo, purtroppo in maniera alquanto incompleta. Marx avrebbe condotto a termine tutto questo in modo assai migliore e convincente.

Ma, tutto sommato, il socialismo borghese e piccolo-borghese è difeso fortemente tuttora in Germania. E lo è per un verso dai socialisti della cattedra e da filantropi d'ogni genere, nei quali ha pur sempre una gran parte il desiderio di tramutare i lavoratori in proprietari della loro abitazione, e nei cui confronti, quindi, il mio lavoro conserva tuttora la sua attualità. Ma per un altro verso un certo socialismo piccolo-borghese trova la sua rappresentanza nello stesso partito socialdemocratico, fino nel gruppo parlamentare della Dieta imperiale. E la trova in modo tale che si riconoscono bensì come giustificate le concezioni fondamentali del socialismo moderno e l'esigenza di tramutare tutti i mezzi di produzione in proprietà sociale, ma si dichiara che la realizzazione di tutto questo è possibile solo in un tempo ancora remoto praticamente imprevedibile. Per il presente, quindi, non c'è da sperare che in una rattoppatura sociale e, a seconda delle circostanze, si può persino simpatizzare con gli sforzi più reazionari intesi alla cosiddetta "elevazione della classe lavoratrice". L'esistenza di una tendenza simile è del tutto inevitabile in Germania, la patria della borghesia filistea per eccellenza, e in un epoca in cui lo sviluppo industriale sradica violentemente e in massa questa piccola-borghesia che ha radici così antiche. Ed è anche del tutto immune da pericoli per il movimento, considerati i sentimenti mirabilmente sani dei nostri lavoratori, che hanno fatto così stupenda prova di sé proprio negli ultimi otto anni di lotta contro leggi antisocialiste, polizia e giudici. Ma è necessario rendersi conto chiaramente che una simile tendenza esiste. E se, come è necessario e pesino auspicabile, tale tendenza assumerà in seguito una forma più stabile e contorni più precisi, essa dovrà tornare, per la formulazione del suo programma, ai suoi antesignani, e fra questi è difficile che sia dimenticato Proudhon.

Il nocciolo della soluzione che sia la grande sia la piccola borghesia danno alla "questione della casa", è che il lavoratore sia proprietario della sua abitazione. Ma questo è un punto che negli ultimi vent'anni è stato messo in una luce del tutto peculiare dallo sviluppo industriale della Germania: in nessun altro paese esistono tanti lavoratori salariati che siano proprietari non solo della loro abitazione, ma bensì anche di un orto o d'un campo; e, oltre ad essi, ve ne sono numerosi altri che hanno una casa o un orto o un campo come affittuari, godendone un possesso che in effetti è abbastanza assicurato. L'industria domestica rurale, esercitata insieme all'orticoltura o alla piccola agricoltura, costituisce l'esteso fondamento della giovane grande industria tedesca; nella Germania occidentale i lavoratori sono prevalentemente proprietari; nell'orientale prevalentemente affittuari della loro casetta con giardino. Questo fatto di un'industria domestica accoppiata all'orticoltura e all'agricoltura, e quindi ad un'abitazione assicurata, lo troviamo non solo ovunque la tessitura a mano oppone ancora resistenza al telaio meccanico, come nel Basso Reno e nella Westfalia, nell'Erzgebirge sassone e nella Slesia; lo troviamo altresì ovunque l'industria domestica di qualsiasi tipo sia penetrata come attività produttiva rurale, ad esempio nella Foresta Turingia e nella Rhön. In occasione delle trattative sul monopolio del tabacco è risultato anche in quale misura la confezione dei sigari sia esercitata come lavoro domestico di tipo rurale; e ovunque si presenti una qualche situazione di emergenza tra i lavoratori diretti, come qualche anno fa nell'Eifel [4], la stampa borghese lancia subito il richiamo alla introduzione d'una conveniente industria domestica come unico rimedio. Di fatto, sia la situazione di crescente difficoltà in cui si trovano i coltivatori tedeschi di piccoli appezzamenti, sia la condizione generale dell'industria tedesca, spingono a una sempre più ampia diffusione dell'industria domestica rurale. È, questo, un fenomeno peculiare della Germania. Qualcosa di simile lo troviamo solo in modo del tutto eccezionale in Francia, ad esempio nelle regioni in cui si esercita la sericoltura; in Inghilterra, dove non esistono coltivatori diretti, l'industria domestica rurale si basa sul lavoro delle mogli e dei figli dei braccianti giornalieri; solo in Irlanda troviamo l'industria domestica dell'abbigliamento, così come in Germania, esercitata da vere famiglie contadine. Naturalmente non parliamo qui della Russia né di altri paesi non rappresentati sul mercato industriale mondiale.

In vaste zone della Germania, dunque, si ha oggi un assetto industriale che è a prima vista simile a quello che era generalmente dominante prima dell'introduzione delle macchine. Ma solo a prima vista. L'industria domestica agricola dei tempi andati, collegata con l'orticoltura e l'agricoltura, era, almeno nei paesi industrialmente progrediti, il fondamento di una situazione materialmente sopportabile e qua e là agiata della classe lavoratrice, ma anche della sua nullità intellettuale e politica. Il prodotto manuale ed i suoi costi determinavano il prezzo di mercato, e, di fronte alla produttività del lavoro, oggi infinitamente ridotta, di regola i mercati di sbocco crescevano più velocemente dell'offerta. Ciò vale, verso la metà del secolo scorso, per l'Inghilterra ed in parte per la Francia, e soprattutto per l'industria tessile. Nella Germania, che proprio allora cominciava a riprendersi lavorando, e nelle condizioni più sfavorevoli, dalle devastazioni della Guerra dei Trent'anni, le cose apparivano però del tutto diverse. L'unica industria domestica che vi lavorasse per il mercato mondiale, la tessitura del lino, era così oppressa da imposte e balzelli da non essere capace di porre il contadino tessitore al di sopra dell'infimo livello della restante classe contadina. Ciò nondimeno, però, a quei tempi il lavoratore d'industria rurale godeva d'una certa sicurezza d'esistenza.

Con l'introduzione delle macchine cambiò tutto. Il prezzo fu il prodotto della macchina a fissarlo, il salario del lavoratore industriale domestico cadde insieme ad esso. Il lavoratore dovette accettarlo, oppure cercarsi un altro lavoro, e non poteva farlo senza diventare proletario, cioè senza disfarsi della sua casetta, del suo orticello e del suo campicello, fossero essi di sua proprietà o in affitto. E ciò egli volle solo in casi rarissimi. Avvenne così che l'orticoltura e l'agricoltura dei vecchi tessitori rurali fosse la causa per cui la lotta del telaio a mano contro il telaio meccanico si protrasse ovunque così a lungo, e in Germania non è stata ancora condotta a termine. In questa lotta si palesò per la prima volta, specialmente in Inghilterra, che lo stesso fatto a cui si era dovuto in passato un relativo benessere dei lavoratori, cioè la proprietà che questi ultimi avevano dei loro mezzi di produzione, ora era divenuto un ostacolo e una sciagura. Nell'industria il telaio meccanico sgominava il loro telaio a mano, nella coltura dei campi la grande agricoltura sgominava la loro piccola conduzione aziendale. Ma mentre in entrambi i settori della produzione il lavoro associato di molti e l'uso dei macchinari e della scienza applicata diventavano regola sociale, la loro casetta, il loro orticello, il loro campicello e il loro telaio a mano li incatenavano al metodo antiquato della produzione individuale e del lavoro manuale. La proprietà della casa e dell'orto aveva ora meno valore dell'assoluta libertà di movimento. Nessun operaio di fabbrica avrebbe fatto il cambio con il tessitore a mano delle campagne, che moriva lentamente ma certamente di fame.

La Germania fece tardi la sua comparsa sul mercato mondiale. La nostra grande industria risale al Quaranta, ricevette il suo primo impulso dalla rivoluzione del 1848 e poté svilupparsi pienamente solo quando le rivoluzioni del 1866 e del 1870 le sgomberarono il campo almeno dagli ostacoli politici peggiori. Ma essa trovò il mercato mondiale in gran parte già occupato. Gli articoli di largo consumo li forniva l'Inghilterra, gli articoli di lusso e gli oggetti di buon gusto la Francia. La Germania non poteva battere gli uni per il prezzo, gli altri per la qualità. Non restava nient'altro, così, sulle prime, che, continuando sul binario seguito fino allora dalla produzione tedesca, inserirsi nel mercato mondiale con articoli che per gli inglesi erano troppo minuti e per i francesi troppo meschini. La prassi consueta dei tedeschi, l'imbroglio di mandare prima buoni campioni e dopo merce scadente, indubbiamente si punì ben presto da se stessa e abbastanza duramente sul mercato mondiale, per cui declinò alquanto; d'altra parte la concorrenza della sovrapproduzione spinse a poco a poco anche gli onesti inglesi sul ripido pendio del peggioramento della qualità, offrendo così vantaggio ai tedeschi, che in questo campo sono inarrivabili. Ed eccoci così finalmente arrivati a possedere una grande industria e un ruolo sul mercato mondiale. Ma la nostra grande industria lavora quasi esclusivamente per il mercato interno (fatta eccezione di quella siderurgica, che produce assai più del fabbisogno interno), e le nostre massicce esportazioni si compongono di un enorme quantità di piccoli articoli, per i quali la grande industria fornisce tutt'al più i semilavorati necessari, che però sono forniti in gran parte anche dall'industria domestica rurale.

E poi si palesa in tutto il suo splendore la "fortuna" che per i lavoratori moderni sta nel possedere una propria casa e un proprio podere. In nessun altro luogo, non eccettuata nemmeno quasi l'industria domestica irlandese, sono pagati salari così vergognosamente bassi così come nell'industria domestica tedesca. Quel che la famiglia ricava dal suo orticello o campicello, la concorrenza permette al capitalista di detrarlo dal prezzo della forza lavoro; i lavoratori non possono che accettare qualsiasi accordo salariale, poiché altrimenti non intascano assolutamente nulla e non possono vivere unicamente del prodotto del loro lavoro agricolo, e, poiché d'altro canto proprio questo lavoro agricolo e il possesso del campo li inchiodano al luogo, essi sono impediti dal cercarsi un'altra occupazione. E qui sta la ragione per cui, in tutta una serie di articoli minuti, la Germania mantiene la sua capacità concorrenziale sul mercato mondiale. Si spreme tutto il profitto del capitale da una detrazione fatta dal salario normale e si può regalare tutto il plusvalore al compratore. Questo è il segreto dello stupefacente buon mercato della maggior parte degli articoli tedeschi d'esportazione.

Ed è questo fatto, più di qualsiasi altro, a tenere, anche in altri settori industriali, i salari e il tenore di vita degli operai in Germania sotto il livello dei paesi dell'Europa occidentale. L'enorme peso di tale prezzo del lavoro, tenuto tradizionalmente al di sotto del valore della forza lavoro, deprime anche i salari degli operai delle città e perfino delle metropoli al di sotto del valore della forza lavoro, e ciò tanto più, in quanto anche nelle città la mal ricompensata industria domestica è subentrata al posto del vecchio artigianato, abbassando anche in esse il livello generale dei salari.

Lo vediamo qui chiaramente: tutto quel che in uno stadio storico precedente era il fondamento d'una relativa agiatezza dei lavoratori (la combinazione fra agricoltura e industria, la proprietà della casa, del giardino e del campo, la garanzia dell'abitazione), oggi, sotto il dominio della grande industria, diventa la catena più dura per i lavoratori e la maggiore sciagura per l'intera classe lavoratrice, il fondamento di una depressione senza esempio del salario al di sotto del suo livello normale; e ciò non per singoli rami economici o singole regioni, ma per tutto il territorio nazionale. Nessuna meraviglia, quindi, che la borghesia, grande e piccola, che vive e s'arricchisce di queste abnormi detrazioni salariali, sia infatuata dell'industria campagnola, del lavoratore padrone della sua casetta, e veda l'unico rimedio di tutte le miserie della gente di campagna nell'introduzione di nuove industrie domestiche!

Questa è una delle facce della medaglia; ma vi è anche il rovescio. L'industria domestica è diventata l'ampia base del commercio estero tedesco e quindi di tutta la grande industria. Perciò si è estesa su vaste zone della Germania e si diffonde ogni giorno di più. La rovina del piccolo coltivatore, fattasi inevitabile dal momento in cui il lavoro industriale domestico, destinato ai consumi personali, fu annientato dal prodotto a buon mercato di confezione e di fattura meccanica, e il suo patrimonio zootecnico, e quindi la sua produzione di concime, lo furono dalla distruzione dell'ordinamento delle marche [5], della marca comune e dell'obbligo del sistema unitario di coltura, questa rovina spinge con forza irresistibile verso l'industria domestica moderna i piccoli contadini caduti preda dell'usuraio. Come in Irlanda la rendita fondiaria del proprietario terriero, così in Germania gli interessi dello strozzino ipotecario li si può pagare non coi proventi del terreno, ma solo col salario del contadino industriale. Sennonché, con l'estendersi dell'industria domestica, le regioni agricole vengono coltivate, l'una dopo l'altra, nel movimento industriale odierno. È questo rivoluzionamento dei distretti rurali, da parte dell'industria domestica a diffondere in Germania la rivoluzione industriale su un'area ben più vasta di quanto non si abbia in Inghilterra e in Francia; è il grado relativamente basso della nostra industria a rendere tanto più necessario il diffondersi in estensione. Ciò spiega perché, al contrario di quanto avviene in Inghilterra e in Francia, in Germania il movimento operaio rivoluzionario abbia avuto una così imponente diffusione nella massima parte del paese, invece di limitarsi esclusivamente ai centri urbani. E spiega altresì il processo placido, sicuro, inarrestabile del movimento stesso. In Germania è di ovvia evidenza che una sollevazione vittoriosa sarà possibile nella capitale e nelle atre città maggiori solo allorché anche la maggior parte delle città minori e una gran parte dei distretti rurali saranno mature per il rivolgimento. Con un'evoluzione in certo qual modo normale non potremo mai giungere a riportare vittorie come quelle parigine del 1848 e del 1871, ma, proprio per questo, nemmeno a subire sconfitte della capitale rivoluzionaria da parte della provincia reazionaria, come quella che Parigi subì in entrambi i casi. In Francia il movimento è iniziato sempre nella capitale, in Germania dalle zone della grande industria, delle manifatture e dell'industria domestica, e la capitale è stata conquistata solo più tardi. Perciò forse anche in futuro il ruolo dell'iniziativa rimarrà riservato ai francesi, ma le sorti della lotta potranno essere decise solo in Germania.

Sennonché, queste industrie domestiche e manifatture rurali, che col loro diffondersi sono divenute il ramo decisivo della produzione in Germania e che pertanto rivoluzionano in misura sempre crescente la classe contadina tedesca, non sono che il preludio di una rivoluzione più vasta. Come ha già mostrato Marx [6], suonerà anche per esse, in un certo stadio della loro evoluzione, l'ora di tramontare, e a suonarla saranno le macchine e le aziende industriali. Quest'ora sembra imminente. Ma l'annientamento dell'industria domestica e della manifattura rurale, da parte delle macchine e delle aziende industriali, significa, in Germania, l'annientamento dell'esistenza di milioni di produttori rurali, l'espropriazione di quasi la metà dei piccoli coltivatori tedeschi, la trasformazione non solo dell'industria domestica in aziende industriali, ma altresì dell'economia contadina in una grande agricoltura capitalistica e della piccola proprietà fondiaria in gran latifondo: una rivoluzione industriale e agraria a favore del capitale e della grande proprietà fondiaria a spese dei contadini. Se è destinato che la Germania compia anche questa trasformazione nelle vecchie condizioni sociali in cui si trova, in ogni caso tale trasformazione costituirà la svolta decisiva. Se finora la classe operaia di nessun altro paese ha preso l'iniziativa, l'attacco muoverà incondizionatamente dalla Germania, e vi avranno valorosamente parte i figli dei contadini dell'"esercito splendido in guerra".

Ed ora assume questa forma del tutto diversa l'utopia borghese e piccolo-borghese, che vuol dare a ciascun lavoratore una casetta tutta sua e incatenarlo così al suo capitalista in modo semifeudale. Ne appaiono l'attuazione la trasformazione di tutti i piccoli padroni di casa rurali in lavoratori industriali a domicilio; l'abolizione dell'antico isolamento e quindi della nullità politica dei piccoli coltivatori, che vengono trascinati nel "vortice sociale"; il diffondersi della rivoluzione industriale nella campagna, e la conseguente trasformazione della classe più stabile, più conservatrice della popolazione in un vivaio rivoluzionario; e, a conclusione di tutto, l'espropriazione dei contadini che lavorano industrialmente a domicilio da parte delle macchine, che li spingono violentemente alla sollevazione.

Ai filantropi socialisti borghesi possiamo concedere volentieri il godimento privato del loro ideale, finché essi continuano, nella loro funzione pubblica di capitalisti, a realizzarlo, come si è detto, alla rovescia, a profitto e giovamento della rivoluzione sociale.

Londra, 10 gennaio 1887
Friedrich Engels

 

Note

1. Der Volksstaat (Lo Stato Popolare), organo della Sozialdemokratische Arbeiterpartei (Partito Socialdemocratico dei Lavoratori), uscì a Lipsia dal 2 ottobre del 1869 al 29 settembre 1876. A causa del suo coraggioso atteggiamento rivoluzionario il giornale fu esposto continuamente alle persecuzioni della polizia e del governo. La composizione del corpo redazionale mutò spesso in seguito all'arresto di taluni redattori, mentre la direzione restò sempre nelle mani di Wilhelm Liebknecht; grande influenza sull'impostazione del foglio ebbe August Bebel. Marx ed Engels furono collaboratori del giornale fin dalla sua fondazione. Furono attivamente a fianco della redazione e con la loro critica contribuirono a far sì che il giornale si mantenesse costantemente fedele alla sua linea rivoluzionaria.

2. A norma del trattato di pace di Francoforte (1871) la Francia dovette pagare alla Germania dei contributi di guerra per un ammontare di 5 miliardi di franchi.

3. La Nueva Federacion Madrileña fu fondata l'8 luglio 1872 dai membri del giornale Emancipacion, dopo che la maggioranza anarchiaca li aveva espulsi dalla Federazione Madrilena. L'occasione dell'espulsione l'avevano offerta le rivelazioni pubblicate sull'Emancipacion circa l'attività dell'Alleanza dei tre imperatori in Spagna. Alla fondazione e all'attività della Nuova Fondazione partecipò in misura rilevante Paul Lafargue. Dopo il rifiuto d'accoglierla oppostole dal Consiglio Federale Spagnolo, la Nueva Federacion Madrileña si rivolse al Consiglio Generale, che il 15 agosto 1872 la riconobbe come membro dell'Internazionale. Essa contrastò decisamente il diffondersi dell'influenza anarchica in Spagna, divulgò le idee del socialismo scientifico e sostenne la creazione di un partito proletario autonomo spagnolo. Dei collaboratori dell' Emancipacion fece parte anche Engels. I membri della federazione di Madrid furono più tardi gli organizzatori del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori Spagnoli, fondato nel 1879.

4. Nell'Eifel, un territorio collinoso con grandi torbiere e vaste zone incolte, le condizioni del terreno sono poco propizie all'attività agricola. Il terreno era lavorato da piccole fattorie, tecnicamente arretrate. Si avevano periodicamente annate cattive, che gettavano i coltivatori in gran miseria. Qui Engels allude agli avvenimenti del 1882, allorché, in conseguenza di parecchi magri raccolti, e a causa della caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, scoppiò la carestia tra gli abitanti dell'Eifel.

5. Associazione cooperative di contadini d'un comune o d'una provincia, che coltivavano insieme un campo o disponevano di pascoli comuni.

6. Cfr. Il capitale, libro I, sezione IV, capitolo XIII

 


Ultima modifica 24.09.2000