Lenin e la guerra imperialista

Trotsky (1938)


Scritto il 30 dicembre del 1938, questo testo verrà pubblicato in lingua inglese solo nel gennaio del 1942 dalla rivista statunitense Fourth International, in una versione tutt’altro che integrale (amputata di ben tre paragrafi), e con un titolo (Lenin on Imperialism) tutt’altro che appropriato (poiché Trotsky in quest’articolo non espone l’analisi di Lenin sull’“Imperialismo”, ma soltanto quella sulla “guerra imperialista”). La presente traduzione italiana, pur basandosi su quella inglese, la integra nelle sue parti mancanti con quella in lingua spagnola, dalla quale riprende anche l’ottimo titolo (Lenin y la guerra imperialista). Traduzione italiana a cura di Stefano Marotta.

«È sempre accaduto nel corso della storia,» scrive Lenin nel 1916, «che dopo la morte dei capi rivoluzionari, popolari tra le classi oppresse, i loro nemici abbiano tentato di appropriarsi dei loro nomi per ingannare le classi oppresse.» Con nessun’altro la storia ha eseguito questa operazione in maniera tanto crudele come con Lenin stesso. L’attuale dottrina ufficiale del Cremlino e le politiche del Comintern sulla questione dell’imperialismo e della guerra calpestano tutte le conclusioni a cui Lenin era giunto e che avevano guidato il partito dal 1914 al 1918.

Con lo scoppio della guerra nell’agosto 1914 la prima questione che sorgeva era questa: dovrebbero i socialisti dei paesi imperialisti assumere la “difesa della patria”? Il problema non era se i singoli socialisti dovessero o meno adempiere agli obblighi dei soldati - non c’era alternativa; la diserzione non è una politica rivoluzionaria. La questione era: dovrebbero i partiti socialisti appoggiare la guerra politicamente, votare per il finanziamento della guerra, rinunciare alla lotta contro il governo e mobilitarsi per la “difesa della patria”? La risposta di Lenin era: No! Il partito non deve fare questo, non ha il diritto di fare questo, non perché c’è di mezzo la guerra, ma perché questa è una guerra reazionaria, perché questa è una lotta accanita tra proprietari di schiavi per una nuova spartizione del mondo.

La formazione degli stati nazionali sul continente Europeo ha occupato un’intera epoca che è iniziata approssimativamente con la grande Rivoluzione Francese e si è conclusa con la Guerra Franco-Prussiana del 1870-71. Durante queste drammatiche decadi le guerre sono state prevalentemente di carattere nazionale. Le guerre condotte per la creazione o la difesa degli stati nazionali, necessari per lo sviluppo delle forze produttive e della cultura, possedevano durante questo periodo un carattere storico profondamente progressivo. I rivoluzionari non solo potevano ma erano obbligati a supportare politicamente le guerre nazionali.

Dal 1871 al 1914 Il capitalismo europeo, sulla base degli stati nazione, non solo fiorì ma sopravvisse a se stesso trasformandosi in monopolio o capitalismo imperialista. «L’imperialismo è quella fase del capitalismo in cui quest’ultimo, dopo aver realizzato tutto ciò che è in suo potere, comincia a declinare.» La causa del declino risiede in questo: che le forze produttive sono incatenate dalla struttura della proprietà privata, così come dai confini degli stati nazione. L’imperialismo cerca di spartirsi e ripartirsi il mondo. Al posto delle guerre nazionali ci sono le guerre imperialiste. Esse sono di carattere completamente reazionario, e sono l’espressione dell’impasse, della stagnazione e dell’imputridimento del capitale monopolistico.

Il mondo, tuttavia, resta ancora molto eterogeneo. Il coercitivo imperialismo delle nazioni avanzate è in grado di esistere solo perché restano sul nostro pianeta le nazioni arretrate, le nazionalità oppresse, i paesi coloniali e semicoloniali. La lotta dei popoli oppressi per l’unificazione nazionale e l’indipendenza nazionale è doppiamente progressiva perché, da un lato prepara condizioni più favorevoli per il loro proprio sviluppo, mentre dall’altro infligge dei colpi all’imperialismo. Questa, in particolare, è la ragione per cui, nella lotta fra una civilizzata, imperialista, democratica repubblica e un arretrata, barbarica monarchia in un paese coloniale, i socialisti stanno interamente dalla parte del paese oppresso, nonostante la sua monarchia, e contro il paese oppressore, a dispetto della sua “democrazia”.

L’imperialismo maschera le proprie peculiari aspirazioni - la conquista delle colonie, dei mercati, delle fonti di materie prime, delle sfere d’influenza - con idee come “la salvaguardia della pace contro gli aggressori”, “la difesa della patria”, “la difesa della democrazia”, ecc. Queste idee sono false da cima a fondo. Compito di ogni socialista non è supportarle ma, al contrario, smascherarle davanti al popolo. «La questione di quale gruppo abbia sferrato il primo colpo militare o abbia per primo dichiarato guerra» scrive Lenin nel marzo del 1915, «non ha alcuna rilevanza sulla definizione della tattica socialista. Le frasi sulla difesa della patria, sulla resistenza contro l’invasione nemica, sulla conduzione di una guerra di difesa, ecc. sono da entrambi i lati un completo inganno per la popolazione. Per decenni,» ha spiegato Lenin, «tre banditi (le borghesie e i governi di Inghilterra, Russia e Francia) si sono armati per depredare la Germania. C’è da stupirsi che i due banditi (Germania e Austria-Ungheria) lancino un attacco prima che i tre banditi riescano ad ottenere i nuovi coltelli che hanno ordinato?».

Il significato storico oggettivo della guerra è di importanza decisiva per il proletariato. Quale classe la sta conducendo? E a quale scopo? È questo ad essere decisivo, e non i sotterfugi della diplomazia per mezzo dei quali l’avversario può sempre essere con successo dipinto come un aggressore. Allo stesso modo sono falsi i riferimenti degli imperialisti agli slogan sulla democrazia e sulla cultura. «[...] La borghesia tedesca [...] inganna la classe operaia e le masse lavoratrici giurando che la guerra è stata intrapresa per il bene della [...] libertà e della cultura, per la liberazione dei popoli oppressi dallo zarismo. Le borghesie inglesi e francesi ingannano la classe operaia e le masse lavoratrici giurando che esse stanno conducendo una guerra [...] contro il militarismo e il dispotismo tedesco.» Una sovrastruttura politica di un tipo o di un altro non possono cambiare la reazionaria base economica dell’imperialismo. Al contrario è la base che subordina a se stessa la sovrastruttura. «Ai giorni nostri [...] è sciocco anche solo pensare ad una borghesia progressiva, al un movimento borghese progressivo. Ogni democrazia borghese [...] è diventata reazionaria.» Questa valutazione della “democrazia” imperialista costituisce la pietra angolare dell’intera concezione leninista.

Poiché la guerra è condotta da entrambi gli schieramenti imperialisti non per la difesa della patria o della democrazia ma per la spartizione del mondo e l’asservimento coloniale, un socialista non ha il diritto di preferire uno schieramento di banditi all’altro. È assolutamente vano ogni tentativo di «determinare dal punto di vista del proletariato internazionale, se la sconfitta di uno dei due gruppi di nazioni in lotta possa essere un male minore per il socialismo.» Nei primi giorni del settembre 1914, Lenin aveva già caratterizzato il contenuto della guerra per ciascuno dei paesi e per tutti i raggruppamenti imperialisti nel modo seguente: «La lotta per il mercato e per il saccheggio delle terre straniere, il desiderio di frenare il movimento rivoluzionario del proletariato e schiacciare la democrazia all’interno di ciascun paese, l’impulso di ingannare, dividere e schiacciare i proletari di tutti i paesi, di incitare gli schiavi salariati di una nazione contro gli schiavi salariati di un’altra nazione per i profitti della borghesia - questo è il solo contenuto e significato reale della guerra.» Quanto è lontano tutto questo dall’attuale dottrina di Stalin, Dimitrov e Co.!

Ancor più che in tempo di pace, durante la guerra la politica di “unità nazionale” implica l’appoggio alla reazione e la perpetuazione della barbarie imperialista. Tuttavia il negare questo appoggio, dovere fondamentale di ogni socialista, è solo l’aspetto negativo o passivo dell’internazionalismo. Esso da solo non basta. Il compito del partito proletario consiste in «un’ampia propaganda, sia nell’esercito che sul campo di battaglia, a favore della rivoluzione socialista e della necessità di non puntare le armi contro i nostri fratelli, gli schiavi salariati degli altri paesi, ma contro i governi e i partiti reazionari e borghesi di tutti i paesi. È assolutamente indispensabile organizzare cellule e gruppi illegali negli eserciti di tutti i paesi per diffondere la propaganda nelle diverse lingue. La lotta contro lo sciovinismo ed il patriottismo dei filistei e la borghesia di tutti i paesi deve essere implacabile.»

Una lotta rivoluzionaria in tempo di guerra può portare alla sconfitta del proprio governo. Ma questa conclusione non spaventava Lenin: «In tutti i paesi la lotta contro il proprio governo, che porta avanti una guerra imperialista, implica l’agitazione rivoluzionaria per la sconfitta del proprio paese.» È esattamente questo il significato della linea chiamata “disfattista”. Nemici senza scrupoli hanno cercato di rappresentarla come se Lenin avesse approvato la collaborazione con l’imperialismo straniero per sconfiggere la reazione nazionale. In realtà, si riferiva alla lotta parallela dei lavoratori in ogni paese contro il proprio imperialismo, che è il loro nemico fondamentale e più immediato. «Per noi russi, dal punto di vista delle masse lavoratrici e della classe operaia russa - scrisse Lenin a Shliapnikov nell’ottobre del 1914 -, non c’è dubbio, e al riguardo non si può vacillare, che il male minore sarebbe la sconfitta, senza indugio, dello zarismo nella guerra attuale.»

È impossibile combattere contro la guerra imperialista implorando la pace secondo la moda dei pacifisti. «Uno dei modi per ingannare la classe operaia è il pacifismo e l’astratta propaganda della pace. Sotto il capitalismo, specialmente nel suo stadio imperialista, le guerre sono inevitabili.» Una pace conclusa dagli imperialisti potrebbe solo essere un momento di respiro prima di una nuova guerra. Solo una lotta di massa rivoluzionaria contro l’imperialismo che produce la guerra può assicurare una pace reale. «Senza un certo numero di rivoluzioni la cosiddetta pace democratica è un’utopia borghese.»

«Una classe oppressa che non si sforza di conquistare e di imparare ad usare le armi, non merita di essere trattata meglio di uno schiavo.» E più avanti: «Il nostro slogan deve essere: armamento del proletariato per sconfiggere, espropriare e disarmare la borghesia [...] Solo dopo aver disarmato la borghesia il proletariato potrà gettare via tutte le armi, senza tradire la sua storica missione mondiale.» Questo porta alla conclusione che Lenin invoca in decine di articoli: «La parola d’ordine “pace” è sbagliata, il motto deve essere “trasformare la guerra nazionale in guerra civile”.»

La lotta contro le narcotiche e debilitanti illusioni del pacifismo costituisce l’elemento più importante della dottrina di Lenin. Egli respingeva con particolare ostilità la richiesta di «disarmo perché chiaramente utopico in regime capitalista.»

La maggior parte dei partiti operai negli paesi capitalistici avanzati si sono schierati, durante la guerra, dalla parte delle proprie rispettive borghesie. Lenin ha definito questa tendenza come social-sciovinismo. Socialismo a parole, sciovinismo nei fatti. Il tradimento dell’internazionalismo non cade dal cielo, ma giunge come un inevitabile continuazione e sviluppo delle politiche di adeguamento riformista. «Il contenuto politico-ideologico dell’opportunismo e del social-sciovinismo è uno soltanto e sempre lo stesso: la collaborazione di classe al posto della lotta di classe, l’appoggio al proprio governo quando questo è in difficoltà piuttosto che l’utilizzo di queste difficoltà in funzione della rivoluzione.»

Il periodo di prosperità capitalista immediatamente precedente all’ultima guerra - dal 1909 al 1913 - ha legato assai bene gli strati superiori del proletariato all’imperialismo. Grazie ai sovrapprofitti ottenuti dalla borghesia imperialista dalle colonie e dai paesi arretrati in generale, ghiotte briciole sono cadute sul suolo dell’aristocrazia operaia e della burocrazia operaia. Di conseguenza, il loro patriottismo è stato dettato da un diretto interesse personale nelle politiche dell’imperialismo. Durante la guerra, che ha messo a nudo tutti i rapporti sociali, «gli opportunisti e gli sciovinisti erano investiti di un gigantesco potere a causa della loro alleanza con la borghesia, con il governo e con gli Stati Maggiori.»

L’intermedia e forse più estesa tendenza nel socialismo è il cosiddetto centro (Kautsky et al.) che vacillava in tempo di pace fra riformismo e marxismo e, sebbene continuasse ad ammantarsi con ampie frasi pacifiste, è diventato quasi senza eccezione prigioniero dei social-sciovinisti. Per quanto concerne le masse, esse furono colte del tutto alla sprovvista e ingannate dal loro stesso apparato, che era stato creato da loro nel corso dei decenni. Dopo aver dato una valutazione sociologica e politica della burocrazia operaia della Seconda Internazionale, Lenin non si fermò a metà strada. «L’unità con gli opportunisti è l’alleanza degli operai con la loro propria borghesia nazionale ed implica una spaccatura fra le fila della classe rivoluzionaria del proletariato internazionale.» Scaturisce da qui la conclusione che gli internazionalisti devono rompere con i social-sciovinisti. «È impossibile adempiere ai compiti del socialismo nel momento attuale, è impossibile realizzare un’autentica fusione internazionale dei lavoratori senza rompere definitivamente con l’opportunismo [...]» così come con il centrismo, «questa tendenza borghese nel socialismo.» Il nome stesso del partito deve essere cambiato. «Non è meglio mettere via il nome “socialdemocratici”, che è stato infangato e degradato, e tornare al vecchio nome marxista “comunisti”?» È tempo di rompere con la Seconda Internazionale e costruire la Terza.

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Cosa è cambiato nella ventina di anni che sono trascorsi da allora? L’imperialismo ha assunto un ancor più oppressivo e violento carattere. La sua più conforme espressione è il fascismo. Le democrazie imperialiste sono cadute parecchi gradini più in basso e si sono naturalmente ed organicamente evolute loro stesse in fascismo. Più è nitido il risveglio delle nazionalità oppresse e la brama di indipendenza nazionale, e più l’oppressione coloniale diventa intollerabile. In altre parole, tutti quei tratti che erano presenti nella teoria della guerra imperialista di Lenin hanno ora assunto un carattere molto più vivido e netto.

Sicuramente, i comunisti-sciovinisti indicheranno l’esistenza dell’URSS, che secondo le loro supposizioni introdurrebbe un completo ribaltamento nella politica del proletariato internazionale. Riguardo a ciò, si può dare brevemente la seguente risposta: anche prima del sorgere dell’URSS, esistevano nazioni oppresse, colonie, ecc., la cui lotta meritava supporto. Se fosse stato possibile supportare i movimenti rivoluzionari e progressivi al di fuori dei confini del proprio paese, appoggiando la propria borghesia, allora la politica del social patriottismo sarebbe stata in linea di principio corretta. Non ci sarebbe allora stata ragione per la fondazione della Terza Internazionale. Questo è un lato della questione, ma ce n’è un altro. L’URSS esiste da ventidue anni. Per diciassette anni i principi di Lenin sono rimasti in vigore. Le politiche comuniste-scioviniste hanno preso forma solo quattro o cinque anni fa. L’argomento dell’esistenza dell’URSS è quindi soltanto un falso pretesto.

Se un quarto di secolo fa Lenin bollò come social-sciovinismo e come un social-tradimento il passaggio dei socialisti dalla parte del loro imperialismo nazionalista sotto il pretesto della difesa della cultura e della democrazia, allora dal punto di vista dei principi di Lenin la stessa politica è oggi ancora più criminale. Non è difficile intuire come Lenin avrebbe definito gli attuali leader del Comintern che hanno resuscitato tutte le sofisticherie della Seconda Internazionale nelle condizioni di un’ancor più profonda decomposizione della civiltà capitalistica.

C’è un pernicioso paradosso in ciò: gli spregevoli epigoni del Comintern, che hanno trasformato la sua bandiera in un lurido straccio col quale cancellare le tracce dell’oligarchia del Cremlino, chiamano “rinnegati” coloro che sono rimasti fedeli agli insegnamenti del fondatore dell’Internazionale Comunista. Lenin aveva ragione: le classi dominanti non solo perseguitano i rivoluzionari durante la loro vita, ma si vendicano su di loro dopo la loro morte con misure ancora più raffinate, provando a trasformarli in icone la cui missione è preservare “legge e ordine”. Nessuno è ovviamente obbligato a prendere posizione sulla base degli insegnamenti di Lenin. Ma noi, suoi discepoli, non permetteremo a nessuno di farsi beffe di questi insegnamenti e di trasformarli nel loro esatto contrario!


Ultima modifica 10.01.2011